Tratto da ilsole24ore
Alla fine è successo davvero: una azienda del mondo della tecnologia, un primo attore dell' industria digitale lancia un auto elettrica e si apre al business delle e-car. Si tratta di Xiaomi, il colosso cinese noto per gli smartphone, al terzo posto per vendite globali e monopattini, che ha annunciato l’intenzione d enetrare nel mercato Bev, battery electric vhicle con un’auto a ioni di litio progettata, sviluppata e costruita insieme a un partner cinese che secondo le indiscrezioni dovrebbe essere Great Wall. Xiaomi, confermando i rumours, già esplosi qualche settimana fa, nel progetto ha deciso di investire 10 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Ed è una cifra considerevole ma non enorme nella scala dei valori dell’industria automobilistica.
«Alla fine è successo davvero: una azienda del mondo della tecnologia, un primo attore dell' industria digitale lancia un auto elettrica e si apre al business delle e-car. Si tratta di Xiaomi, il colosso cinese noto per gli smartphone, al terzo posto per vendite globali e monopattini, che ha annunciato l’intenzione d enetrare nel mercato Bev, battery electric vhicle con un’auto a ioni di litio progettata, sviluppata e costruita insieme a un partner cinese che secondo le indiscrezioni dovrebbe essere Great Wall. Xiaomi, confermando i rumours, già esplosi qualche settimana fa, nel progetto ha deciso di investire 10 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Ed è una cifra considerevole ma non enorme nella scala dei valori dell’industria automobilistica».
Per anni lo storytelling portato avanti da media online e offline ha ipotizzato, con voci più o meno fondate lo sbarco di Apple nel mercato delle automobili e nonostante i rumors crescenti di questo ultimo periodo, non si è visto nulla e in molti si chiedono cosa farà da grande il gigante di Cupertino forte della sua stellare quotazione di borsa. L’auto è ancora nei sui piani? Forse ora con lo sbarco di Xiaomi e con gli annunci simili di Huawei, Apple potrebbe rilanciare la sfida, ma al momento è stata anticipata dai cinesi.
Al contrario, Sony due anni fa al Ces di Las Vegas Sony ha infatti svelato Vision S, un'auto elettrica che in forma di show car è un laboratorio per tutte le cronologie automotive made in Sony. La vettura è stata effettivamente prodotta, ma non sarà a quanto pare costruita in serie.
Diverso il caso di Dyson che in pompa magna lanciò un miliardario programma per sviluppare un'auto elettrica , ma poi fece una clamorosa retromarcia: il progetto fu cancellato perché fare auto elettriche è una cosa ben diversa da costruire un' aspirapolvere e bisogna avere conoscenze tecniche industriali molto precise e occorre tempo e denaro. E questo nonostante che un battery electric vehicle sia enormemente più semplice di una vettura termica.
La macchina di Google, altra mega hype del mondo tech e delle e-car, non ha visto la luce perché il gigante di Mountain View ha deciso di trasformare il suo progetto di auto che guida da sola in un programma di sviluppo per software e mappe al servizio della guida autonoma e questo perché Big G ha ben compreso che costruire un'autovettura con tutte le implicazioni industriali economiche e sociali, non è un gioco alla portata di tutti e di chi non ha esperienza.
Xiaomi - fondata appena nel 2010, capitalizzazione 82 miliardi di dollari al Nasdaq, dove in un anno ha guadagnato il 140% (ma da inizio 2021 ha perso il 22% con la rotazione dei portafogli che ha colpito i titoli tech), quotata anche a Hong Kong - invece è stata in grado di presentare il progetto un'automobile vera e propria grazie al fatto che l'azienda cinese vive già in un unico sistema tecnologico sia proprio sia a livello di sistema paese. Infatti, Xiaomi produce smartphone e monopattini (ma anche Tv e gadget di ogni tipo) è una sorta di hub della tecnologia di un paese, la Cina, che “vive” di batterie a ioni di litio e accelera ogni giorno verso la rivoluzione delle auto elettriche. Xiaomi si appoggia per produrre l'auto a una grande costruttore. E in Cina i grandi player anche conto terzi con join venture con blasonati brand occidentali non mancano e la vettura di Xiaomi, rischia di essere dirompente: un vero tsunami per l'industria dell'auto.
Infatti, il brand Xiaomi e il un sub-brand Mi sono molto noto e apprezzato tra i millennials e lo sarà sempre di più per i cosiddetti ragazzi della generazione Alpha ovvero gli automobilisti del prossimo futuro. Quelli che oggi hanno 14-15 anni e vanno in giro con un monopattino Xiaomi e sono naturalmente portati a comprare non solo uno smartphone del gigante cinese ma anche un automobile di un brand del quale hanno fiducia.
Non per nulla, Xiaomi ha realizzato un ecosistema fatto da dispositivi dell'internet delle cose: dalle bilance Smart Watch dei monopattini a oggi le automobili alla spina. La reputazione dl brand è enorme e questo scardina le regole del gioco nel mondo dell'auto, nel quale, un marchio, basti pensare a Skoda o persino ad Audi, ha bisogno di tempo per affermarsi.
Xiaomi, invece, parte da un posizione di leader per le nuove generazione di nativi digitali e non è da escludere che altri seguiranno il suo esempio a iniziare da Apple per finire con Samsung che una casa automobilistica l'aveva ma ora è di Renault ed ha rimediato comprando, qualche hanno fa, il gigante del car tech Harman. Da oggi l'auto elettrica, che già ha messo in campo protagonisti hi-tech come Nio e Xpeng, parla sempre di più il cinese e si annunciano tempi duri per i grandi gruppi tradizionali. E anche per Tesla.
Tratto da Libero.it!
Dimmi quanti followers hai e ti dirò chi sei. Si potrebbe parafrasare così il vecchio detto che spiega quanto possano “influenzare” le abitudini e le frequentazioni.
Un indicatore ingannevole - quello de semplici numeri, secondo i recenti studi in materia - si rivela “una vera e propria metrica di vanità” come sottolinea Francesco Cozzetto, responsabile dell’area management di Dominanza Digitale, azienda leader in performance digitali, nata nel 2015, con sede a Milano, Roma e Napoli.
Chi si trova sui social ha spesso come unico obiettivo quello di arrivare ad un mero guadagno” – spiega Cozzetto – “La figura dell’influencer viene costruita, in molti casi, acquistando semplicemente i propri followers. Oggi i canali social, ed in particolare modo Instagram, hanno ridimensionato notevolmente il fenomeno dei fake e dei bot, sistemi automatici che generano like e commenti a caso. Ciò ha favorito moltissimo la fase di condivisione di contenuti interessanti da parte di tutti i profili, portando al piazzamento di una nuova figura denominata micro-influencer marketing”. Le parole del manager confermano un fenomeno in crescita con la conseguente creazione di una nuova strategia di marketing digitale fondata sul valore del micro-influencer, a tratti di incredibile consistenza e credibilità.
L’identikit del micro-influencer
“Profili apparentemente normali”. Si pronuncia così Francesco Cozzetto per descrivere la figura del micro- influencer, persone con un profilo su Instagram o altre pagine social aperte e facilmente consultabili dove condividono passioni, attività, passatempi. “Tali figure” – illustra il manager – “sono impegnate per lo più nel tempo libero in un dialogo attivo con una propria community”. I temi? Dalla cucina, al make-up, dalla moda all’arte. Queste figure sono state in grado di crearsi una propria nicchia di followers fedeli ed attenti, interessati al contenuto specifico che l’influencer tratta.
E’ assai curioso il fatto che queste figure siano del tutto inconsapevoli di rientrare in una categoria specifica come i micro-influencer. Talvolta, capita che neppure siano interessati ad esserlo, per lo meno in maniera professionale, confermando la loro assoluta autenticità. Il tempo e l’impegno sui social premia questi profili con attenzione e considerazione, grazie alla buona qualità dei contenuti che solitamente propongono con stile riconoscibile e personale.
In questa categoria rientrano figure che contano un numero di almeno 10.000 followers a differenza dei cosiddetti nano-influencer, quegli utenti che hanno da 1.000 a 10.000 followers.
Il caso Divadonna
Parlano i dati. Lavorare con i piccoli, spesso, conviene. Francesco Cozzetto lo racconta con convinzione a proposito della progettazione della campagna promozionale creata da Dominanza Digitale per lanciare sul mercato le calzature firmate dalla maison DivaDonna, (https://divadonna.it/about/), brand creato in società con un grande professionista del settore calzaturiero, l’imprenditore Vito Angelini.
“Vince la quantità” – sostiene il manager – “I micro-influencer sono numerosissimi in confronto alle celebrities del web, che vantano milioni di seguaci”.
Non essendo del mestiere, per altro, questi profili vengono raramente compromessi commercialmente, il che li rende più apprezzati dalla propria community. Chi li segue è un vero fan che li apprezza realmente per quello che propongono sulle loro pagine, comprendendone i consigli onesti e genuini.
Accade spesso che il target dell’influencer coincida con quello del brand.
“Nel caso del brand di calzature Divadonna” - spiega Mattia Cozzetto, CEO di Dominanza Digitale – “la strategia del gruppo di lavoro ha previsto la scelta di alcune figure di micro-influencer, adatte all'immagine del prodotto per far percepire al pubblico femminile la qualità della scarpa e del lifestyle del brand. Ogni donna ha la propria storia e merita di avere un obiettivo da raggiungere e la scarpa ideale per poterlo fare”.
Ad oggi DivaDonna è un brand riconosciuto e molto apprezzato dal mondo femminile. Rigorosamente made in Italy, il prodotto è stato lanciato durante il primo periodo di pandemia, sull’onda di una particolare attenzione – e, in alcunicasi, scoperta – del mondo digitale.
2' di lettura
Per contenere l’impatto sulle proprie attività segnate dagli effetti del Covid, ai professionisti due sono le strade riservate dal decreto Sostegni. La prima rientra nel più vasto contributo a fondo perduto destinato ai soggetti titolari di partita Iva che svolgono attività d’impresa, arte o professione, nonché per gli enti non commerciali e del terzo settore. Con finalmente l’atteso abbandono dei codici Ateco a individuare le attività incluse nel perimetro di godimento.
Alla forma di aiuto in questione potranno accedere quei soggetti che abbiano subito perdite di fatturato, tra il 2019 e il 2020, pari ad almeno il 30 per cento, calcolato sul valore medio mensile. Il nuovo meccanismo ammette le imprese con ricavi fino a 10 milioni di euro, a fronte del precedente limite di 5 milioni di euro. L’importo in qualunque caso non può essere inferiore a 1.000 euro per le persone fisiche e a 2.000 euro per gli altri soggetti e non potrà essere superiore a 150mila euro. Secondo quanto disposto, l’erogazione avverrà tramite bonifico bancario direttamente sul conto corrente intestato al beneficiario o come credito d’imposta, da utilizzare esclusivamente in compensazione.
Viene previsto inoltre un taglio dei contributi per professionisti e autonomi da 3.000 euro. A ipotizzare questa possibilità è la relazione tecnica al decreto Sostegni che aumenta la dote per il cosiddetto “anno bianco” degli autonomi di 1,5 miliardi, portando le risorse complessive a 2,5 miliardi. La misura riguarderà circa 820mila soggetti (330mila iscritti alle casse private e 490mila tra artigiani, commercianti e professionisti iscritti alle gestioni Inps) con redditi entro i 50mila euro e perdite del 33%. Ipotizzando che «la quasi totalità dei beneficiari accederà» e che «la misura massima dell’esonero» sia fissata «in 3.000 euro annui per professionista» si rende necessario, come spiega la relazione tecnica, l’aumento delle risorse rispetto al finanziamento di 1 miliardo previsto in manovra.
Dopo le prime notizie sulle decisioni prese dal Governo, l’accoglienza dei diretti interessati non è stata unanime. L’Istituto nazionale tributaristi (Int) ritiene «positivo, anche se limitato e tardivo rispetto alle restrizioni, l’intervento nel Dl sostegni a favore di imprese e professionisti soprattutto in rapporto ai fondi a disposizione ovvero i 32 miliardi di scostamento approvati dal parlamento in gennaio». Per David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop), si tratta di «un segnale positivo di attenzione per i liberi professionisti che attendevamo e che risponde alle richieste avanzate dal Cnop, unitamente agli altri Ordini nazionali tramite il Comitato unitario degli Ordini professionali». Invece l’Aiga, Associazione italiana giovani avvocati, esprime «profonda insoddisfazione» per il testo del decreto Sostegni approvato ieri e recante misure urgenti anche a sostegno dei liberi professionisti. «Siamo molto delusi dal metodo di calcolo dei contributi. Al di là di tanti giri di parole, il contributo è infatti pari al 5 % della perdita di fatturato tra il 2019 e il 2020. A buona parte dei liberi professionisti, ed in particolare degli avvocati, arriverà un contributo di mille euro, il minimo previsto. Più che il decreto sostegno questo è il decreto briciole», ha attaccato il presidente Antonio De Angelis.
Tratto da Il Giornale.it!
La barca italiana ha combattuto con le unghie e con i denti fino alla fine ma alla fine il 7-3 ha sorriso ai Kiwi che si sono così aggiudicati la loro quarta coppa America nella storia. L'equilibrio e la parità è durata fino alla sesta regata con tre vittorie azzurre e tre neozelandesi che nelle ultime quattro prove hanno però tirato la volata finale portandosi a casa quattro successi di fila che le hanno di fatto consegnato il titolo.
Secondo quanto riporta La Repubblica, però, sarebbe già cominiciata la battaglia per la prossima America's Cup con i padroni di casa che avrebbero però già scelto i loro partner che non sarebbero più gli amici di Luna Rossa. In caso di vittoria, infatti, Team New Zealanda vorrebbe sfidare gli amici britannici del Royal Yacht Squadron di Cowes, che hanno litigato ferocemente proprio con il team di Patrizio Bertelli.
Luna Rossa potrebbe dunque passare dal sogno di poter fare le regate nelle acque di Cagliari alla triste realtà di non poter più prenderne parte per via di nuovo blocco anglofono, ostile all'Italia. L'intesa tra Aaron Young, numero uno del circolo con vista Harbour Bridge a Auckland e James Sheldon, suo omologo sull'isola di Wight, sembra ormai salda con Luna Rossa seriamente preoccupata.
Il team di Patrizio Bertelli si augura che questa allenaza non si concretizzi e nel frattempo studia la nuova collaborazione con Ernesto Bertarelli di Alinghi che ha già dichiarato di non voler più sponsorizzare la Prada Cup, vinta quest'anno proprio da Luna Rossa.
Tanti milioni di italiani si sono appassionati per le imprese di Checco Bruni e Spithill in queste giornata nel golfo di Hauraki ad Auckland ma alla fine ha vinto la barca più esperta e più veloce. Questo, però, dovrà essere un punto di partenza per Luna Rossa che ha dimostrato di avere il potenziale strutturale e umano per poter arrivare a competere ai più alti livelli e la sensazione è che prima o poi l'affermazione in America's Cup si possa concretizzare.